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Le ragioni per cui votare “No” al Referendum Costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari

Siamo realmente convinti che avere meno rappresentanti si traduca, superficialmente e senza un’accurata attenzione, in una maggiore efficienza? Siamo realmente convinti che per migliorare la politica, la democrazia rappresentativa indiretta-mediata e il parlamentarismo occorrono ricette tipiche di sentimenti notoriamente accostabili all’antipolitica, alla presunta “democrazia diretta” poggiante su di una piattaforma privata ed all’antiparlamentarismo? Siamo realmente convinti che gli annosi problemi del nostro Paese si risolverebbero con un risparmio decisamente irrisorio?

Dal 1° Gennaio 1948 l’Italia si è munita di un particolare Manuale di convivenza, una sorta di Vangelo laico: si chiama Costituzione. I suoi principi, le sue libertà, le sue garanzie, i suoi limiti e i suoi doveri godono di una primazia indiscutibile e, in molti suoi punti, non revisionabile. Ciononostante, come tutte le invenzioni umane, anche il dettato costituzionale necessita di alcune modifiche per rimanere al passo coi tempi – benché numerosi dispositivi della nostra Carta Costituzionale siano assolutamente attuali e/o molti dei suoi obiettivi persino ancora irrealizzati – oltre che per affinare/correggere l’assetto e il funzionamento delle nostre istituzioni.

Eventuale taglio dei Parlamentari alla Camera dei Deputati | Fonte: clicca qui

I dispositivi redatti dall’Assemblea Costituente della Repubblica Italiana prevedevano «[…] un deputato per ottantamila abitanti o per frazione superiore a quarantamila» (art. 56 Cost., testo originario) e ancora «[…] un senatore per duecentomila abitanti o per frazione superiore a centomila» (art. 57 Cost., testo originario) per i due rami del Parlamento. Le ragioni che spinsero i nostri padri a suggellare proporzioni di questo tipo sono il frutto di un lavoro attento e scrupoloso al fine di ottenere un rapporto di rappresentanza ottimale ed equamente assicurato sul territorio nazionale. Successivamente, la legge costituzionale del 9 Febbraio 1963, n. 2 – tralasciando per il momento la legge costituzionale del 23 Gennaio 2001, n. 1 che indicò i seggi assegnati alla Circoscrizione Estero – predisse 630 eletti alla Camera dei Deputati e 315 al Senato della Repubblica.

Eventuale taglio dei Parlamentari al Senato della Repubblica | Fonte: clicca qui

La proposta di ridurre il numero dei parlamentari (400 alla Camera dei Deputati, 200 al Senato della Repubblica) nasce dal cd. contratto di Governo, siglato nel Maggio del 2018, tra il MoVimento Cinque Stelle e la Lega. Recita al suo interno: «[…] in tal modo, sarà più agevole organizzare i lavori delle Camere e diverrà più efficiente l’iter di approvazione delle leggi, senza intaccare in alcun modo il principio supremo della rappresentanza, poiché resterebbe ferma l’elezione diretta a suffragio universale da parte del popolo per entrambi i rami del Parlamento senza comprometterne le funzioni. Sarà in tal modo possibile conseguire anche ingenti riduzioni di spesa poiché il numero complessivo dei senatori e dei deputati risulterà quasi dimezzato» e ancora «[…] così ci allineeremmo agli altri Paesi europei, che hanno un numero di parlamentari inferiore». Ebbene, il risparmio considerevole per le casse dello Stato, la maggiore efficienza dei lavori parlamentari e l’allineamento con gli standard del Vecchio Continente si rivelano tre falsi miti.

Il suddetto Referendum Confermativo – il quarto nella storia repubblicana – avrebbe semmai un impatto negativo (da un punto di vista quantitativo e qualitativo) proprio sul tema della rappresentanza.

Scrive a riguardo il Professore Enzo Di Salvatore, Docente di Diritto Costituzionale presso l’Università degli Studi di Teramo: «Il nodo – checché ne dicano le forze politiche favorevoli alla riforma – è proprio quello della rappresentanza: sia dal punto di vista “quantitativo” sia dal punto di vista “qualitativo”. Se passerà la riforma, l’Italia scivolerà in fondo alla classifica nel rapporto tra numero di parlamentari e numero di abitanti: nel caso della Camera dei deputati si collocherà all’ultimo posto (1 deputato ogni 151.210 abitanti); nel caso del senato al penultimo (1 senatore ogni 302.420 abitanti), seguita, in ciò, solo dalla Polonia. Com’è noto, la Costituzione prevede che il Senato sia “eletto a base regionale”, che “nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette” e che “il Molise ne ha due, la Valle d’Aosta uno”. Ebbene, la riforma non tocca questa previsione, limitandosi a dire che ogni Regione non avrà più 7 senatori, ma 3, e che ciò riguarderà pure le Province autonome di Trento e Bolzano. Mentre il Molise continuerà ad averne due e la Valle d’Aosta uno. Qual è il risultato di questa modifica? Che mentre alcune Regioni – come il Trentino-Alto Adige, che ha appena un milione di abitanti – otterrebbe ben 6 senatori, altre, come il Friuli-Venezia Giulia ne avrebbe solo 4, la Basilicata, l’Umbria e l’Abruzzo solo 3. La riforma, infine, inciderà anche sulla composizione delle Commissioni parlamentari; e poiché occorrerà garantire che tutte le forze politiche siano in esse rappresentate, l’epilogo sarà che, soprattutto in sede deliberante, una manciata di senatori finirà per decidere delle sorti di una legge.

Numero di cittadini per Deputato, prima e dopo l’eventuale taglio dei Parlamentari | Fonte: clicca qui

Veniamo alla questione della “qualità” della rappresentanza. La riduzione del numero non incide su questo, se non in senso peggiorativo. Se – come si ritiene – la qualità della rappresentanza è già modesta con gli attuali numeri, figurarsi cosa accadrà quando i parlamentari saranno in numero inferiore: statisticamente sarà giocoforza più bassa. Se si vuole garantire la “qualità” della rappresentanza occorre modificare la legge elettorale, non ridurre il numero dei parlamentari. Il PD aveva accettato di sostenere la riforma – dopo aver votato contro di essa in passato – a patto che la riforma fosse accompagnata, tra le altre cose, da una modifica del Rosatellum bis. Ma il punto non è più all’ordine del giorno. Mantenere l’attuale legge elettorale dopo aver ridotto il numero dei parlamentari vuol dire aumentare il potere delle segreterie di partito nella selezione dei candidati, ossia rafforzare esattamente ciò contro cui i cittadini vorrebbero votare “sì” al referendum costituzionale: l’oligarchia dei soliti noti. Pensateci bene».

Ribadisce, ancora, il Professore: «”Con meno parlamentari le Camere funzioneranno meglio e avremo un Parlamento più efficiente”. Questo è uno degli argomenti fasulli che vengono addotti a sostegno del “sì” alla riforma costituzionale. Il numero dei parlamentari non incide di per sé sul buon funzionamento delle Camere perché ciò dipende solo dalle regole che disciplinano l’attività di ciascuna Camera. E queste regole sono contenute nei regolamenti parlamentari. Occorre stare attenti, però. Un conto sono i numeri percentuali, altro i numeri fissi. La Costituzione si esprime in termini percentuali quando, per esempio, dice che «un decimo dei componenti di una Camera può presentare una mozione di sfiducia» (art. 94 Cost.). In questo caso è irrilevante quale sia il numero di cui si compone ciascuna Camera. I regolamenti parlamentari, invece, considerano anche i numeri fissi: per esempio 8 senatori possono chiedere che su una comunicazione del Governo si apra una discussione generale; oppure, possono presentare una mozione in Aula; o, ancora, possono presentare ordini del giorno sul disegno di legge di bilancio; 10 senatori possono presentare una questione pregiudiziale sui decreti-legge; occorrono 12 senatori per chiedere la verifica del numero legale; 20 senatori per richiedere lo scrutinio segreto; e così via. Poi c’è tutta la partita – serissima – delle Commissioni, che non considero in questo post. Se non si modificheranno i regolamenti parlamentari, qualora dovesse passasse la riforma, si avrà un Parlamento forse più “snello”, ma indubbiamente meno democratico, giacché il rischio è che molti dei diritti del singolo parlamentare non potranno essere esercitati per impossibilità di raggiungere il numero minimo richiesto dai regolamenti. Quello che in ogni caso va sottolineato è che il buon funzionamento del Parlamento non dipende dal “sì” alla riduzione del numero dei parlamentari. E non credo che occorra un costituzionalista per capirlo».

Numero di cittadini per Senatore, prima e dopo l’eventuale taglio dei Parlamentari | Fonte: clicca qui

E infine: «Per modificare la Costituzione occorre la maggioranza assoluta delle due Camere. Se la maggioranza è, però, di 2/3 dei componenti di ciascuna Camera, le modifiche alla Costituzione non possono essere sottoposte a referendum costituzionale. Se passerà la riforma sul taglio dei parlamentari, questo vuol dire che in futuro, per modificare la Costituzione senza che i cittadini possano esprimersi al referendum costituzionale, saranno sufficienti 267 deputati e 134 senatori. Quest’è».

Siamo realmente convinti che avere meno rappresentanti si traduca, superficialmente e senza un’accurata attenzione, in una maggiore efficienza? Siamo realmente convinti che per migliorare la politica, la democrazia rappresentativa indiretta-mediata e il parlamentarismo occorrono ricette tipiche di sentimenti notoriamente accostabili all’antipolitica, alla presunta democrazia diretta poggiante su di una piattaforma privata ed all’antiparlamentarismo? Siamo realmente convinti che gli annosi problemi del nostro Paese si risolverebbero con un risparmio decisamente irrisorio? Siamo realmente convinti che ridurre il numero dei deputati/senatori sarebbe effettivamente utile continuando a mantenere il cd. bicameralismo perfetto, un Senato della Repubblica eletto a base regionale piuttosto che a suffragio universale e diretto nonché la configurazione di un grado di razionalizzazione (debole) all’interno di un impianto delineato dalla nostra Costituzione (rigida)? Siamo realmente convinti che le modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari – le quali accrescerebbero le cifre di quelle proporzioni citate poc’anzi, trasformando il nostro Paese in uno degli Stati più influenti del globo con la minor rappresentanza tra elettori ed eletti – sarebbero una scelta saggia e in linea con le prerogative dell’Assemblea Costituente? Siamo realmente convinti che non servirebbe rivedere profondamente i Regolamenti parlamentari? Siamo realmente convinti che le nostre plurime istanze, già fortemente non ascoltate dalla nostra classe politica nel suo intero, troverebbero risposte esaustive con meno deputati e con meno senatori? Siamo realmente convinti che esprimersi favorevolmente al quesito avanzato dal Referendum Costituzionale fissato al prossimo mese di Settembre, con la sola promessa di una futura ed ipotetica riforma elettorale (senza la quale, per farla breve, sarebbero dolori; urge un celere ritorno alle preferenze), sia la scelta più giusta?

E infine, siamo realmente convinti che limitandoci a cambiare quasi forzatamente/ottusamente le regole basilari del gioco – rievocando una certa moda di qualche decennio or sono – otterremmo automaticamente una classe dirigente più affidabile? O forse servirebbe un radicale cambio di rotta, anzitutto sul piano culturale e sulla formazione politica?

L’effetto di un eventuale taglio dei Parlamentari sulle Elezioni del Presidente della Repubblica | Fonte: clicca qui

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