«Chi vuliti, a banna o a badda?».
(Filadelfo Castro – Sindaco di Lentini dal 1946 al 1947 e dal 1948 al 1951)
Da qualche giorno, si è conclusa l’esperienza sportivo-imprenditoriale della Sicula Leonzio Srl dopo l’esclusione per delibera della Federazione Italiana Giuoco Calcio (FIGC) conseguente al mancato deposito della fideiussione di 350.000 € e, quindi, alla non iscrizione. Un epilogo prevedibile, a seguito dell’inchiesta giudiziaria – denominata Mazzetta Sicula e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) della Procura di Catania – che lo scorso mese di Giugno ha investito il principale sponsor della compagine calcistica lentinese.

Dal 2013 sino ad oggi, la Vecchia Signora del calcio siciliano ha gradualmente riconquistato il palcoscenico professionistico (balzando in pochi anni dalla Promozione alla Serie C) attraverso una cavalcata contraddistinta da successi sul campo e da investimenti economico-infrastrutturali che assai di rado è possibile certificare in una realtà urbana di circa ventiquattromila anime. A tal riguardo, va poi aggiunto il verbale di deliberazione del Consiglio Comunale n. 25 del 27 Giugno 2017 per mezzo del quale il Comune di Lentini approvò uno schema di Convenzione – la cui base giuridica rievoca fortemente l’istituto dell’usufrutto – con cui decise di affidare l’uso e la gestione dello Stadio Comunale all’ormai estinta Sicula Leonzio «[…] per la durata di anni 20» (art. 2 della Convenzione), rinnovabili in futuro, con «[…] un canone annuo, di 20.000,00 € soggetto a rivalutazione annuale ISTAT» (art. 8). Una fattispecie che sul piano normativo si rivelò e si rivela tutt’oggi, a mio personale giudizio, un vero unicum nel panorama nazionale e non solo. Dalla (semplice) risoluzione su chi fosse il proprietario dello stadio alle (più complesse) prerogative effettive in capo al concessionario – la società privata Sicula Leonzio, scioltasi nell’Agosto del 2020 – nonché alle modalità di utilizzo del contratto di Naming Rights (contratto atipico, della famiglia dei contratti di sponsorizzazione; ha trovato applicazione in Italia quasi esclusivamente per gli stadi di proprietà dei club, in quanto per gli stadi comunali l’eventuale volontà e possibilità di trovare uno sponsor spetterebbe solo alle Amministrazioni).

Ma non è su questi aspetti che desidero rapire la vostra attenzione. Riscontro infatti, in Lentini e nei lentinesi, una serie di problemi sistematici che – col trascorrere del tempo – acuiscono la loro virulenza. Tre su tutti.
In primis, una cattiva comunicazione (istituzione-cittadino, cittadino-cittadino) forgiata sull’eterno divisionismo e fondata sul mero interesse individuale del momento. Una strumentalizzazione cinica e subdola, ove si decide di trattare i vari argomenti nelle modalità che più si confanno in quel frangente; ne scaturiscono volontariamente/involontariamente delle analisi viziate e incomplete, che non facilitano l’inquadramento – benché meno la risoluzione – delle questioni che puntualmente si presentano. Si dice quel che si vuole, come e quando si vuole. Un pessimo approccio, che si riduce in monologhi stantii e rischia di alimentare la continua germinazione di tifoserie a senso unico. È la teoria del «divide et impera», del con me o contro di me. Un modus operandi nocivo, autoreferenziale e profondamente immaturo, che alla lunga emargina i suoi stessi discepoli, logora il proficuo e rispettoso dialogo democratico (particolarmente ingessato per via di un innalzamento spropositato dei toni e di un’infelice commistione tra la sfera pubblica e quella privata, i quali degenerano – nei casi estremi – in querele e in giudizi pendenti di varia natura), impoverisce il dibattito culturale, favorisce il perseguimento dei tornaconti personali nel disgregamento generale e dissolve il senso di comunità. Chiunque ricopre o aspira a ricoprire ruoli in ambito politico (a qualsiasi livello), deve sempre tenere a mente un monito: non fomentare le masse, non alimentare i conflitti sociali, non avvelenare i pozzi della pacifica convivenza. Una saggezza che la nostra città non può e non deve più tralasciare se intende veramente progredire in mentalità, all’insegna di un rinnovato e sincero cambiamento. Meno esclusione, più inclusione. Meno capi fazione, più figure guida per la città nel suo intero. Meno esternazioni in pubblica piazza – reale e/o virtuale – che palesano gli evidenti limiti caratteriali dei suoi autori e che sottolineano i (troppi) dissapori interpersonali, più risolutezza/pacatezza da parte di tutti e in particolar modo da coloro i quali hanno il dovere di assumere atteggiamenti consoni a figure che notoriamente dovrebbero ergersi a super partes.

In seconda battuta, il tema della legalità nella sua globalità. Un argomento che non riguarda solo la succitata inchiesta – e di riflesso i colori bianconeri della squadra locale fondata nel 1909, la cui sussistenza economica era strettamente connessa al gruppo imprenditoriale di riferimento – ove la giustizia farà il suo corso, come sempre, nelle aule dei Tribunali (e in nessun altro luogo); la presunzione d’innocenza rimane incontrovertibilmente, peraltro, uno dei pilastri fondativi su cui poggia quel diritto che vuol definirsi moderno. Chiusa parentesi su questa vicenda, occorre ricordare come la legalità non sia un optional, né una bandiera da sventolare una volta tanto. Il rispetto della legge è, infatti, quel fil rouge che dovrebbe legare nonché ispirare le nostre condotte e il nostro agire. Sempre e comunque. Ciononostante, ho come l’impressione (purtroppo) che Lentini tenda a dimenticarlo con troppa facilità, preferendo perseguire la strada dei litigi, delle frammentazioni e degli onori al potente di turno (in qualsiasi campo, specialmente se forestiero). Non rendendosi conto che, ogni qualvolta la legalità viene meno, non vi sono né vincitori né vinti. Non vi sono ingenui da prendere per i fondelli né perdenti che attendono i fallimenti altrui. Vi sono solo e soltanto degli sconfitti: la lungimiranza, l’ambiente, le progettualità, le istituzioni, i cittadini.
Infine, poco tempo fa ho piacevolmente riletto alcune informazioni riguardo alla fondazione de Il Ponte avvenuta circa cinquant’anni or sono: «[…] un circolo culturale che si proponeva di gettare un ponte tra le culture che allora “pensavano” e pesavano in questa città». Ritengo sia giusto rilanciare. Quel che serve oggi è un nuovo ponte tra la vecchia guardia (dalle analisi sincere e dalle stimate competenze) e le nuove leve (capaci e scevre da personalismi), ma non soltanto. Occorre ripristinare il ponte tra la storia plurimillenaria di Lentini e la sua modernità, per trasformare ciascuno di noi in quel pontefice – dal latino pontifex, ossia costruttore di ponti – in grado di garantire un futuro che renda finalmente giustizia a questo territorio ed ai suoi abitanti.
Non ci sono altre strade, non ci sono scappatoie. Questa è l’unica soluzione che abbiamo.

Fonte dell’Immagine in evidenza: © Francesco Quadarella