L’01:24.
Il terrore emergeva dalle viscere del suolo, irrompeva nelle case, serpeggiava tra le dolci lenzuola. Era il cuore della notte. Era l’ora più buia. Era il 13 Dicembre del 1990.
Son trascorsi trent’anni da quando un sisma di magnitudo 5,6 (VII-VIII grado della Scala Mercalli), a soli dodici chilometri di profondità, colpì ancora una volta il Mar Ionio e la Sicilia Sud-Orientale. In totale, la scossa – dalla durata di 45 secondi circa – provocò dei danneggiamenti più o meno significativi in quarantuno Comuni delle Province aretusea, etnea ed iblea. Ma furono le città di Carlentini, Augusta, Lentini, Melilli, Francofonte, Scordia e Militello in Val di Catania a pagarne il conto più elevato, specialmente in termini di vite umane. Diciotto le vittime (tutte carlentinesi, di cui sei per via indiretta), almeno duecento i feriti e oltre tredicimila gli sfollati: questo il triste bilancio finale di allora. Si temette per il petrolchimico alle porte di Priolo Gargallo e la linea ferroviaria subì ingenti danni.

Sin dai tempi più antichi, il rapporto con il terremoto si è sempre rivelato assai arduo da affrontare e traumatico da superare. Un male atavico per l’Italia e per la Sicilia, le cui incapacità millenarie nel riuscire ad adottare le dovute contromisure rendono ancora oggi un sì tale fenomeno naturale tremendamente attuale.
Dopo i gravi sismi del 1169 e del 1693, insieme con la violentissima distruzione di Messina nel 1908 (la catastrofe più immane che l’Europa ricordi), il cd. terremoto di Santa Lucia – il 13 Dicembre infatti la città di Siracusa celebra abitualmente la sua Patrona, Vergine e Martire, ma in quell’anno non vi fu alcun festeggiamento – del 1990 lasciò una ferita aperta nelle nostre menti, nelle nostre carni e nei nostri territori. L’ennesima tragedia per un’isola che, tuttavia, ha sempre trovato la forza di rialzarsi, di reinventarsi e di guardare al futuro con una speranza rinnovata.

Del terremoto dei silenzi, della scarsa prevenzione e della trascuratezza che celermente ne affievolì il ricordo chi vi scrive non può averne memoria, in quanto sarebbe venuto al mondo soltanto undici mesi più tardi. Ma quegli interminabili 45 secondi di una notte uggiosa del 1990 hanno lasciato il segno nelle vite di tutti, comprese le nuove generazioni. Le tre palazzine crollate in Via De Amicis a Carlentini, i danni subiti dalla Chiesa Madre (Ex Cattedrale) Santa Maria la Cava e Sant’Alfio a Lentini, le roulotte per anni disseminate – qualcuna è ancora visibile – nei centri urbani interessati sono alcuni più nitidi esempi.
Nel corso degli ultimi tre decenni i sostegni economici derivanti dalla Legge del 31 Dicembre 1990, n. 433, «Disposizioni per la ricostruzione e la rinascita delle zone colpite dagli eventi sismici del Dicembre 1990 nelle Province di Siracusa, Catania e Ragusa», così come i fondi strutturali e d’investimento dell’Unione Europea, han consentito una graduale rifioritura di alcuni tra i nostri luoghi più emblematici. Tuttavia non sono di certo mancate le innumerevoli complicazioni e, ovviamente, si poteva/doveva fare di più.
Ma il nostro meraviglioso angolo di Sicilia, apprezzato in tutto il mondo per le sue inesauribili ricchezze, per le sue infinite bellezze e per i tre siti insigniti dall’UNESCO del titolo di Patrimonio dell’Umanità (le Città tardo barocche del Val di Noto, 2002 / Siracusa e la Necropoli Rupestre di Pantalica, 2005 / il Monte Etna, 2013) necessita e necessiterà ancora di cure, attenzioni, dedizioni, riqualificazioni, salvaguardie continue.
A noi l’inderogabile compito di preservare il nostro passato, il nostro presente e il nostro futuro.
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